Quale residuo attivo di gestione può decidere di impiegare l'assemblea?

Quale residuo attivo di gestione può decidere di impiegare l'assemblea?

Secondo l'art. 1135 del Codice civile, l'assemblea dei condomini, oltre a provvedere all'approvazione del rendiconto annuale, decide circa l'impiego del residuo attivo della gestione. 

 

 

Più esattamente, l'assemblea "provvede" all'impiego del residuo attivo della gestione. Non si tratta, quindi, di una libera decisione, ma di una vera e propria prerogativa rientrante nell'alveo dell'obbligo di amministrare che riconduce perfino alle previsioni del quarto comma dell'articolo 1105c.c.  che, come estrema ratio, prevede addirittura il ricorso all'autorità giudiziaria da parte di un condomino qualunque nel caso di inerzia.


Posto che si tratta di una norma che in molti ignorano ed in pochissimi osservano, proviamo a capire di quale residuo attivo della gestione si stia parlando. 


Prima ipotesi: residuo attivo patrimoniale.

Si tratterebbe dell'ipotesi del caso dell'avanzo patrimoniale. In questo caso, saremmo difronte ad un errore sistemico della contabilità che, al contrario, dovrebbe destare preoccupazione più che offrire la possibilità di un impiego. Invero, per effetto del principio della natura gestoria del patrimonio condominiale, fatto di solo attivo circolante e passivo e privo, quindi, della possibilità di conseguire arricchimenti per assenza di capitale di conferimento ed in ragione della natura di impresa di erogazione non lucrativa dell'ente condominio, non possiamo fare altro che escludere l'ipotesi che il legislatore si stia riferendo a questa ipotesi di residuo attivo.


Seconda ipotesi: residuo attivo di cassa.  

In questo caso, l'ipotesi riguarderebbe l'avanzo di cassa contabile di fine gestione. Pensare che il legislatore si stia riferendo a questa possibile circostanza risulta piuttosto arduo. Infatti, l'avanzo di cassa contabile risponde esclusivamente a due ipotesi: eccessi di versamenti incassati e persistenza di debiti ancora da saldare. Nel primo caso, significherebbe che quell'avanzo di cassa appartiene, di fatto e giuridicamente, ad alcuni condomini a cui andrebbe restituito, ancorché con il riconoscimento di un mero credito verso il condominio. Quindi, si tratterebbe di una ipotesi che non consentirebbe all'assemblea di esercitare alcun dominio su tali risorse. Nella seconda ipotesi, invece, si tratterebbe di cassa contabile destinata a soddisfare il pagamento di debiti verso terzi non ancora saldati. Oppure, potrebbe trattarsi di una cassa contabile in avanzo corrispondente ad un mero impiego di giacenza su conto corrente dovuto alla disponibilità di fondi accantonati nel tempo. Insomma, anche questa seconda ipotesi sembra sia da scartare rispetto alla domanda iniziale.

 

Terza ipotesi: l'avanzo di gestione economica.

Sembra l'ipotesi più accredita e riguarda il caso di maggiori ricavi registrati durante l'esercizio di gestione rispetto al totale dei costi effettivamente maturati nel medesimo lasso temporale. Certamente, da un punto di vista tecnico, sembra davvero l'ipotesi di cui parla il legislatore del ’41 ma sarà esattamente così e, soprattutto, possibile?


Per comprendere l’origine e la natura dell’avanzo di gestione bisogna da subito precisare come i ricavi in materia di contabilità condominiale possano essere di due tipi: “caratteristici” e “non caratteristici”. I primi sono da ricondurre ai contributi condominiali versati dai partecipanti ed i secondi alle variazioni economiche positive date da altre operazioni diverse come le rettifiche di costo o la rilevazione di contributi di terzi, sia pubblici che privati: pensiamo al contributo di ARERA per il rifacimento delle colonne montanti elettriche o dei Comuni per tenere in perfetto stato il decoro dei centri storici. Oppure, i ricavi non caratteristici possono certamente riferirsi alle rendite da locazioni delle parti comuni.


Ora, ipotizziamo che l’eventuale avanzo di gestione sia dovuto ad uno o più fattori precedenti. Nel caso di maggiori ricavi caratteristici si tratterebbe semplicemente di dover riconoscere ad uno o più condomini dei versamenti eccedenti rispetto a quanto avranno maturato sulla scorta delle spese effettivamente sostenute a consuntivo. Pensare, dunque, che su questo tipo di residuo attivo di possa decidere di impiegarlo liberamente appare piuttosto difficile e in aperto contrasto con i diritti patrimoniali dei singoli partecipanti che, evidentemente, in siffatta ipotesi, ne riceverebbero un nocumento irrimediabile.


Nel caso di eccessi di ricavi di natura non caratteristica, invece, questi andrebbero direttamente a ridurre il contributo annuale dei condomini richiesto per effetto del principio del finanziamento mutualistico sul quale si regge tutta l’economica condominiale o potrebbe costituire un vero e proprio patrimonio ultroneo ma non più di gestione perché da ricondurre all’esclusiva proprietà dei partecipanti chiamati anche a pagarci le imposte come nel caso delle rendite da locazione.


Pertanto, e tenendo conto che il mero avanzo di gestione potrebbe risultare sia non necessariamente disponibile nelle casse contabili che addirittura ipotetico per difficoltà a materializzarlo per ragioni di deterioramento ed inesigibilità dei crediti, esattamente, a quale avanzo di gestione avrà voluto riferirsi il legislatore del ’41?

 

Dott. Francesco Schena